Gestione della cronicità, integrando medicina di genere e approcci personalizzati. Promozione del benessere mentale, con investimenti dedicati alla medicina di genere su servizi territoriali accessibili e gratuiti. Lotta alle disuguaglianze, attraverso politiche che riducano i divari territoriali, economici e culturali. E ancora, aumento dei finanziamenti. Ma anche potenziamento della formazione del personale sanitario su differenze di genere e implementazione dei percorsi diagnostico-terapeutici personalizzati per patologie femminili.
Sono queste solo alcune delle sfide principali che sistema sanitario dovrà affrontare per garantire e sostenere la salute delle donne in Italia. Anche perché la salute delle donne è un indicatore fondamentale dell’efficienza e dell’equità del Servizio Sanitario Nazionale.
Per questo si celebra oggi la decima edizione della Giornata Nazionale della Salute della Donna. Istituita nel 2015 su iniziativa della Fondazione Atena Onlus e promossa dal Ministero della Salute, questa edizione 2025 punta i riflettori sui temi dell’innovazione, dei cambiamenti demografici e dell’equità.
Tante luci ma anche ombre. La salute femminile in Italia ha conosciuto significativi miglioramenti nel corso degli ultimi decenni, ma permangono disuguaglianze e criticità che meritano un'analisi approfondita. Prevenzione, accesso alle cure, salute mentale e condizioni socioeconomiche sono solo alcune delle variabili che influenzano il benessere delle donne italiane, spesso in modo diverso rispetto agli uomini.
Aspettativa di vita alta, ma con più anni vissuti in cattiva salute Secondo i dati Istat, le donne italiane vivono in media circa 85,5 anni, una delle aspettative di vita più alte d’Europa. Tuttavia, trascorrono una parte significativa di questi anni in condizioni di salute non ottimali. L’indicatore “Healthy Life Years” (anni vissuti in buona salute) si ferma a circa 59 anni, suggerendo che oltre 25 anni sono vissuti con limitazioni funzionali o patologie croniche.
Tra le malattie croniche più diffuse nelle donne: ipertensione, osteoporosi, artrosi, diabete e depressione. L’età avanzata, unita a un maggiore carico di cura familiare e domestica, spesso contribuisce al deterioramento della salute fisica e mentale.
Prevenzione: buoni risultati, ma adesioni ancora parziali Le campagne di screening oncologico hanno registrato risultati incoraggianti, soprattutto per quanto riguarda i tumori al seno e alla cervice uterina. Lo screening mammografico raggiunge circa il 70% delle donne nella fascia d’età raccomandata (50-69 anni), mentre il Pap test ha una copertura leggermente inferiore, anche a causa di disparità regionali.
Resta invece più limitata l’adesione allo screening per il tumore del colon-retto, benché coinvolga anche le donne a partire dai 50 anni. Inoltre, l’educazione alla salute sessuale e riproduttiva è ancora carente, con impatti negativi sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e sul benessere ginecologico generale.
Salute mentale: un’emergenza silenziosa Le donne italiane presentano tassi più elevati di depressione e disturbi d’ansia rispetto agli uomini. Le cause sono molteplici: dal sovraccarico di lavoro familiare e professionale, alla maggiore esposizione a episodi di violenza domestica, fino alla pressione culturale e sociale sul ruolo femminile. Durante e dopo la pandemia di Covid-19, si è registrato un aumento significativo dei disturbi psicologici tra le donne, con conseguenze spesso sottovalutate, soprattutto nelle fasce più giovani e tra le donne migranti.
In Italia, secondo l’ultima indagine Istat del 2023, il 15,4% delle donne dichiara di sentirsi frequentemente nervosa o ansiosa, contro l’8,3% degli uomini, i disturbi depressivi diagnosticati colpiscono il 7,1% delle donne rispetto al 3,2% degli uomini e l’uso di farmaci antidepressivi o ansiolitici è quasi doppio tra le donne (13,5%) rispetto agli uomini (7,2%).
Accesso ai servizi e disparità regionali Nonostante il Servizio sanitario nazionale garantisca teoricamente l’accesso universale, nella pratica persistono forti disuguaglianze. Le donne che vivono al Sud o nelle aree interne del Paese incontrano maggiori difficoltà nell’accesso a consultori, specialisti ginecologici, servizi psicologici e percorsi di PMA (procreazione medicalmente assistita). Anche le liste d’attesa per prestazioni specialistiche continuano a rappresentare un ostacolo, in particolare per le donne in condizioni socioeconomiche svantaggiate.
In alcune Regioni si è ridotta anche la rete dei consultori familiari, nati negli anni ’70 come presidio di assistenza per la salute riproduttiva, oggi spesso depotenziati o sotto organico. Come emerge da dati Agenas e del ministero della Salute
Calabria, Sicilia, Campania e Molise hanno una densità molto più bassa di consultori per numero di abitanti rispetto alla media nazionale. In queste stesse regioni si registrano tempi d’attesa più lunghi per ecografie pelviche, PAP test, visite ginecologiche e prestazioni legate alla procreazione medicalmente assistita. In molte aree del Sud, la mancanza di personale ostetrico-ginecologico nei piccoli ospedali o nei presidi territoriali porta alla mobilità sanitaria verso il Nord.
Violenza e salute: un legame sottostimato La violenza contro le donne è un grave problema di salute pubblica. Le vittime di violenza domestica o sessuale riportano più frequentemente sintomi di stress post-traumatico, depressione, problemi ginecologici e malattie croniche. Tuttavia, il sistema sanitario italiano fatica ancora a intercettare in modo efficace questi segnali, soprattutto per mancanza di formazione specifica del personale medico e per l’assenza di protocolli uniformi.
Tante quindi le nuove sfide. Nonostante i progressi compiuti, rimane quindi essenziale un impegno continuo da parte delle istituzioni per superare le disuguaglianze di genere e territoriali, puntando su una medicina sempre più personalizzata, inclusiva e accessibile.