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Uno sguardo alle patologie rare: storie di EPN
L’EPN è una malattia rara ancora poco conosciuta. Serve più formazione in questo campo. Ne parliamo con le dottoresse Antonella Sau dell'Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Ematologia dell'Ospedale Spirito Santo di Pescara e Giorgia Battipaglia dell'Unità Operativa Complessa di Ematologia e Trapianto di Midollo dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e con i pazienti Lindo Terrenzio e Ferdinando Guarracino
07 NOV -

Serve più formazione sulle malattie rare, soprattutto su quelle con importanti ripercussioni sulla vita dei pazienti. È uno degli aspetti emersi nel corso del secondo incontro dedicato all’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) di “The Patient’s Voice” il format di Sics e Popular Science dedicato ai pazienti. In questa puntata sono intervenute le dottoresse Antonella Sau dell'Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Ematologia dell'Ospedale Spirito Santo di Pescara e Giorgia Battipaglia dell'Unità Operativa Complessa di Ematologia e Trapianto di Midollo dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e i pazienti Lindo Terrenzio e Ferdinando Guarracino.

Distruzione dei globuli rossi

L’EPN è una malattia rara e acquisita delle cellule staminali emopoietiche. “La malattia riguarda le cellule da cui derivano tutte le cellule del sangue ed è determinata da una mutazione di un gene che si trova sul cromosoma X”, chiarisce la dott.ssa Sau. “La mutazione non è in nessun modo trasmessa alla prole, colpisce in egual misura entrambi i sessi, può insorgere a tutte le età e in qualsiasi etnia”.

Il difetto genetico che caratterizza la malattia fa sì che le cellule staminali siano prive di due proteine (CD50 e CD59) fondamentali. Nelle persone sane queste proteine si trovano sulla superficie delle cellule del sangue e le proteggono dall’attacco di una componente del sistema immunitario, nota come sistema del complemento. “Quando in risposta a un patogeno il complemento si attiva, si innesca una reazione a catena che porta all’attacco dell’intruso e alla sua distruzione”. Nelle persone le cui cellule del sangue sono prive di CD50 e CD59 il complemento non attacca solo i patogeni ma anche i globuli rossi, provocandone la distruzione.

La triade di sintomi

“Si verifica quindi un’emolisi intravascolare, che porta ad anemia. I pazienti manifestano pallore cutaneo, astenia, debolezza, ma anche un aumento della bilirubina determinata dalla distruzione dei globuli rossi che causa una colorazione giallastra delle sclere e della cute. Talvolta le urine molto scure per la presenza di emoglobina libera”, continua Sau.

“La malattia è caratterizzata da una triade sintomatologica. Oltre all’anemia i pazienti sperimentano un aumento del rischio di eventi trombotici in tutte le sedi dell’organismo (anche in quelle considerate atipiche, quindi a livello addominale, epatico, cerebrale) e presentano un difetto del midollo osseo, come un’aplasia midollare o una sindrome mielodisplastica. Questo difetto del midollo osseo può precedere la diagnosi di EPN, essere concomitante alla diagnosi o intervenire come complicanza tardiva della malattia”.

Altri sintomi tipici della patologia sono il dolore addominale, la disfagia (difficoltà nella deglutizione), le disfunzioni erettili. “Si tratta di una malattia cronica per la quale ci sono diverse opzioni terapeutiche che possono ridurre o addirittura azzerare il quadro clinico, ma l'unica terapia potenzialmente curativa definitiva ad oggi è il trapianto di midollo osseo”.

Difficoltà diagnostiche

Lindo Terrenzio è un paziente della dott.ssa Sau, gli è stata diagnosticata l’EPN nel 2005. “Inizialmente dagli esami i medici hanno notato che avevo poche piastrine. Poi è scesa l’emoglobina e ho iniziato a soffrire di dolori addominali lancinanti dovuti alle trombosi. Ero debole, stanco, in una condizione di malessere generale”, racconta il paziente. “Dopo la diagnosi ho iniziato il percorso terapeutico che ha dato una svolta alla mia vita: le mie giornate sono cambiate completamente”.

Il caso di Lindo Terrenzio mostra come una diagnosi rapida e tempestiva sia fondamentale: permette di iniziare una terapia che cambia (e salva) la vita dei pazienti.

Giungere alla diagnosi però non è così semplice, come spiega la dott.ssa Battipaglia. La grande difficoltà sta nel fatto che non sempre, di fronte a sintomi a volte aspecifici, i medici sospettano la presenza di EPN. “Bisogna sensibilizzare tutte le figure professionali che possono essere implicate nella diagnosi di questa patologia. Il sospetto è sicuramente dato dalla triade sintomatologica che abbiamo citato anche se questa non è sempre presente in modo così chiaro e la malattia è caratterizzata da manifestazioni che possono sovrapporsi ad altre patologie”.

La prima spia è rappresentata dai risultati degli esami di laboratorio. “L’anemia emolitica porta a un abbassamento dei valori dell’emoglobina, a una riduzione assoluta del valore di un marcatore che si chiama aptoglobina e a un incremento di un altro marcatore che si chiama lattico deidrogenasi. Questi valori possono far sospettare la presenza di un quadro di emolisi in generale, ma non necessariamente di EPN. Ulteriori esami permettono di escludere la presenza di altre cause di emolisi e l'esame dirimente nel momento in cui abbiamo un sospetto fondato di EPN è la citometria a flusso che permette di osservare il deficit di molecole sui globuli rossi”.

Impatto sulla vita personale e lavorativa

Grazie alla citometria a flusso a Ferdinando Guarracino è stata diagnosticata l’EPN nel 2023. “Il sospetto di malattia è stato dato da una trombosi alla milza e alla vena porta”, racconta il paziente. “Per me è stato difficile. Lavoro e lavoravo fuori città e mi sono trovato costretto ad andare in ospedale ogni settimana per prelievi, visite e terapie. Il farmaco di prima linea non ha funzionato e questo mi ha scoraggiato ulteriormente”. Con il farmaco di seconda linea le cose sono migliorate.

“Credo che una diagnosi di emoglobinuria parossistica notturna impatti notevolmente sulla vita di un paziente”, commenta Sau. “Penso che questo succeda per ogni malattia rara, che viene vista dal paziente come poco conosciuta, poco studiata e per la quale ci sono poche cure. È chiaro che la prima reazione sia di angoscia, accompagnata a tutte le conseguenze dei sintomi che sono importanti. A questo si aggiunge la necessità di recarsi in ospedale molto spesso per controlli e terapie”.

Nuovi farmaci

Negli ultimi anni la qualità della vita dei pazienti è però molto migliorata, grazie allo sviluppo di nuovi farmaci. “Fino a poco tempo fa avevamo a disposizione un unico farmaco a somministrazione endovenosa ospedaliera settimanale”, dice Battipaglia. “Ora invece sono disponibili due nuove categorie di farmaci, che agiscono sulla cascata del complemento (quella parte del sistema immunitario che, come abbiamo detto, distrugge i globuli rossi privi di proteine protettive sulla loro superficie n.d.r.) e in particolare su due proteine di questa cascata: C5 e C3”. Gli inibitori di C5 sono stati introdotti per primi. Alcuni vengono somministrati per via endovenosa ogni settimana, altri (più recenti) ogni otto settimane.

“Queste sono ad oggi le terapie di prima linea. In alcuni casi, come quello del signor Ferdinando, questi trattamenti non risultano efficaci e si provano le terapie di seconda linea, gli inibitori di C3, che hanno ulteriormente migliorato la possibilità di trattare questi pazienti sia per modalità e tempistiche di somministrazione sia perché offrono un’opportunità a coloro che non riescono a beneficiare del trattamento con inibitori del C5”.

La modalità di somministrazione ha un impatto sulla qualità della vita, come nota Battipaglia. “Passare da una somministrazione settimanale a una ogni otto settimane, soprattutto quando c’è risposta al farmaco e indipendenza dalle trasfusioni di sangue, cambia molto per i pazienti. Per non parlare dei trattamenti di seconda linea che possono essere somministrati per via sottocutanea. Arriveranno poi anche farmaci a somministrazione orale”.

La storia delle terapie per l’EPN non finisce qui. “La ricerca è molto attiva - continua l’esperta - con trial clinici in corso anche in Italia e che sicuramente nel corso degli anni potranno aiutarci ad implementare ulteriormente il trattamento e la qualità di vita dei nostri pazienti”.

Il lavoro da fare

Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni c’è ancora molto da fare per migliorare la gestione della malattia. Il farmaco di seconda linea, per esempio, necessita di una revisione del piano terapeutico molto frequente, “ogni 28 giorni” come specificato da Ferdinando, rappresentando così un ostacolo; “I miei medici e io stesso abbiamo chiesto ad Aifa un piano che sia almeno semestrale, se non annuale, ma la risposta è stata negativa perché occorre monitorare le reazioni avverse al farmaco. È chiaro però che in caso di reazioni avverse mi recherei subito in ospedale”.

Lindo invece riceve la terapia in ospedale ogni otto settimane e i buoni risultati gli consentono di condurre una vita normale. Riscontra però una difficoltà dovuta alla scarsa conoscenza che i medici - non direttamente coinvolti nella gestione della patologia come gli ematologi - hanno dell’EPN. “Le patologie rare sono importanti e vanno conosciute. Ho incontrato di frequente medici che non sapevano assolutamente cosa fosse l’EPN e mi piacerebbe che tutti gli specialisti e i medici di famiglia fossero sensibilizzati sull’importanza delle malattie rare, gravi e meno gravi”.

07 novembre 2024
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