Fecondazione assistita. Corte Ue dei diritti umani boccia la legge 40
I giudici di Strasburgo hanno dato ragione ad una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica che per la legge 40 è impossibilitata ad accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Per la Corte la norma è “incoerente”. Stato dovrà versare alla coppia 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali.
28 AGO - La
Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo boccia la legge 40 perché viola l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti sull’uomo. Nello specifico i giudici, all’unanimità, hanno dato ragione ad una coppia fertile, Rosetta Costa e Walter Pavan, portatrice sana di fibrosi cistica che aveva fatto ricorso più di un anno fa perché impossibilitata dalla normativa italiana ad accedere alla diagnosi reimpianto degli embrioni. La legge 40 infatti consente questa pratica solo alle coppie sterili o a quelle in cui il partner maschile abbia una malattia sessualmente trasmissibile, come l'Aids.
La Corte Ue, la cui sentenza diverrà definitiva entro tre mesi se nessuna delle parti presenterà ricorso davanti alla Grande Camera, specifica come “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente”. Per i giudici ciò è dovuto al fatto che, se da un lato la legge non consente la diagnosi preimpianto, allo stesso tempo un'altra norma consente alla coppia di accedere a un aborto terapeutico in caso che il feto venga trovato affetto da fibrosi cistica. Questa la ragione per cui i giudici di Strasburgo hanno sentenziato che cosi com'è formulata, la legge 40 ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 Convenzione dei diritti dell’uomo) di Rosetta Costa e Walter Pavan, cui lo Stato dovrà versare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali.