Quella che stiamo attraversando e che si sta avvicinando al picco è davvero una stagione influenzale particolarmente pesante? “Un po’ la stampa, un po’ alcuni esperti a inizio anno hanno voluto provare a prevedere numero di casi, intensità e virulenza della stagione influenzale 2024-2025, affermando che sarebbe stato un inverno caratterizzato da un’epidemia molto pesante. Ma le influenze quando sono stagionali e non c’è una mutazione maggiore detta shift (cioè un virus che passa da animale a uomo) sono più o meno tutte uguali: nei sintomi e nell’aggressività clinica cambia poco”. A tracciare il quadro di una situazione che, nei fatti, non presenta grandi differenze con le epidemie influenzali precedenti, “a esclusione dei primi due anni post-pandemia, quando i bambini non furono esposti per molti mesi agli agenti patogeni e contribuirono ad aumentare di molto i casi di influenza, mentre ora siamo tornati ai livelli pre-pandemici”, è Gianni Rezza, epidemiologo e professore di Igiene all’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano.
“Fra i virus influenzali attualmente circolanti – spiega - ci sono diversi sottotipi: l’H3N2 che muta un po’ di più, il tipo B che raramente da luogo a epidemie importanti e poi H1N1. Siccome in Australia l’H3N2 ha dato una stagione intensa, ci si aspettava che succedesse lo stesso anche da noi. Ma era difficile che si verificassero più casi dello scorso anno”: in Italia, con circa 14 milioni e 598 mila persone colpite da influenza e da sindromi simil-influenzali, la stagione 2023-2024 è stata caratterizzata dall'incidenza più alta da 15 anni a questa parte. “Fu un’epidemia di ampia scala, caratterizzata da un’intensa circolazione del virus H1N1. Quindi dicendo che quest’anno sarebbe stata una stagione intensa non si poteva certo intendere: più intensa dell’anno passato. Infondo, anche in Australia l’epidemia è stata come quella dell’anno precedente, non peggiore. E’ chiaro che nel post pandemia dovevamo attenderci stagioni più pesanti, appunto perché i bambini non erano stati esposti a questi virus per lungo tempo: ecco il perché dei picchi anticipati, a dicembre. Quest’anno, invece, la situazione ricalca quelle pre-pandemia, con un picco probabilmente a fine gennaio, come avveniva normalmente prima dell’arrivo del Covid. Quando c’è una popolazione ampiamente suscettibile il virus corre e anticipa il picco, quando invece la popolazione si immunizza, soprattutto i più piccoli che sono quelli che sostengono l’epidemia, allora il picco tende ad aversi più tardi, dopo le feste, fra gennaio e febbraio. Ci saranno ancora diversi milioni di casi, questo è sicuro, ma penso che si configurerà come una normale stagione di epidemia influenzale”.
Secondo l’esperto ci sono dunque alcuni miti da sfatare, “per esempio la correlazione sbagliata che si fa chiedendosi: ci sono stati tanti casi perché ci si è vaccinati poco? Dalla vaccinazione dipende non il numero di casi, ma il numero di casi gravi, in quanto la campagna di immunizzazione è rivolta soprattutto ai soggetti fragili, che rischiano complicanze. Quindi se ci sono tanti casi dipende soprattutto dai bambini, che i genitori possono decidere se vaccinare o meno”.
Quanto alla gravità dei sintomi, prosegue Rezza, “bisogna sempre considerare che noi monitoriamo tutte le sindromi simil influenzali e il numero totale di casi è dovuto certamente in gran parte all’influenza, soprattutto nel periodo del picco, ma in ogni caso circolano anche altri virus, in primis il respiratorio sinciziale, i virus parainfluenzali, una parte di Sars-Cov-2 che però è ancora destagionalizzato e provoca epidemie anche in estate, il metapneumovirus, il batterio micoplasma. In questi due ultimi casi sono scattati allarmi, ma si tratta di agenti che circolano da tantissimi anni, sono noti e non devono preoccupare. Per quanto riguarda H5N1, quello sì che è un agente nuovo, però non si trasmette efficientemente da persona a persona”.
Infine, sempre riguardo ai sintomi, “occorre ricordare che nei pazienti fragili qualsiasi febbre provoca uno squilibrio dell’organismo, chi ha problemi preesistenti può andare incontro a complicanze, ma questo non è dovuto alla virulenza di un ceppo piuttosto che di un altro: nei miei studi ho confrontato i sintomi di diversi sottotipi influenzali ed è emerso che non ci sono grandi differenze”. Se la febbre è molto alta o compare polmonite, “potrebbe anche trattarsi di altri virus o batteri che si insinuano e provocano, a volte, effetti gravi”.
Barbara Di Chiara