24 APR - Oltre 100 direttori dei dipartimenti di salute mentale italiani scrivono una lettera aperta al presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella; alla presidente del Consiglio,
Giorgia Meloni; oltre che al ministro della Salute
Orazio Schillaci, e altri rappresentanti istituzionali, per porre l’attenzione sulle criticità che potrebbero in qualche modo avere portato all’uccisione, a quanto si conosce da parte di un paziente, di
Barbara Capovani, responsabile dell’SPDC dell’Azienda USL Nord Ovest Toscana. I direttori dei DSM esprimono anzitutto vicinanza alla famiglia, agli affetti e a tutti gli operatori che hanno lavorato al fianco della psichiatra aggredita. “Si tratta – sottolineano - di una tragedia a fronte della quale non possiamo e non dobbiamo rimanere inermi. Certamente va affrontato in generale in modo incisivo il tema delle aggressioni agli operatori sanitari”, ma per il direttori dei DSMD “c’è anche un tema specifico del rapporto tra salute mentale e giustizia fino ad oggi nascosto sotto il tappeto”.
“La stessa Corte Costituzionale - sottolineano i Direttori di DSMD - con la sentenza 22/2022, ha chiesto al Parlamento di intervenire, così come noi stessi Direttori di Dipartimento di Salute Mentale abbiamo recentemente diffuso una
lettera appello a tutte le Istituzioni per affrontare le gravi criticità dei nostri servizi territoriali ed ospedalieri. Due richieste, ad oggi senza risposte”.
Per gli oltre 100 direttori di DSMD firmatari della lettera, “c’è bisogno di rivedere, dopo la giusta chiusura degli OPG, l’attuale situazione critica di risposte della società ai pazienti psichiatrici, o così ritenuti tali, che commettono reati, che sta riversando su chi lavora nei reparti di psichiatria e nelle Rems, problematiche, in particolare relative a quelle persone che manifestano manifestazioni aggressive incoercibili che non possono essere gestite con iniziative solo sanitarie. I gravi disturbi di personalità antisociali, che commettono reati o che evidenziano condizioni pericolose di violenza sono da affrontare e gestire attivando percorsi specifici di massima sicurezza che garantiscano cure appropriate ma anche l'incolumità e la protezione di chi lavora, come avviene in tutti i paesi del mondo civile. C’è bisogno di una nuova progettazione e rivalutazione della salute mentale in carcere. C'è necessità di rivedere le norme sulla semiinfermità e sulla non imputabilità”.
“C’è bisogno
– concludono i direttori di DSMD - di nuovi strumenti, sia dal lato sanitario che della Giustizia, senza continuare a lasciare a mani nude migliaia di operatori. Anche perché la vicenda di Barbara non debba riguardare in futuro altri operatori”.