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Mori (Cnb): “La fecondazione assistita e l’etica della riproduzione assistita”
09 FEB -

“Come oggi, 9 febbraio di vent’anni fa alcuni di noi ancora speravamo che la Legge fallisse. In una lunga telefonata con il compianto amico Carlo Flamigni si ricordava come il 7 giugno 1999 inaspettatamente i senatori del Centro-destra non fossero andati a votare e tutto saltò. Però il 10 febbraio 2004 i deputati ci andarono e la legge è passata con 277 sì, 222 no, e 3 astenuti. Non sto qui a riprendere le tante critiche mosse alla L. 40/04, perché più che esaminare aspetti specifici il mio compito è vedere le questioni di fondo per cercare di tracciare una mappa delle diverse posizioni e favorire così l’orientamento. L’obiettivo è capire meglio da dove siamo venuti, dove siamo, e dove stiamo andando. L’avvio dell’analisi è la considerazione ovvia, ma spesso dimenticata, che la riproduzione umana è sempre stata qualcosa di misterioso che procedeva per “natura”.

Nel 1764 il grande medico francese Charles Bonnet scriveva che “la generazione è uno di quei segreti che la Natura sembra essersi riservata” e solo 160 anni dopo si è cominciato a strapparle quel segreto quando, nel 1924: 100 anni fa, il ginecologo giapponese Kyūsaku Ogino è riuscito a dare la prima descrizione scientifica del ciclo femminile, aprendo la strada alla scienza nella riproduzione umana. Il 25 luglio 1978 alle ore 23.47 grazie alla fecondazione in vitro apprestata da Bob Edwards nasceva Louise Brown: nascita che ha creato sconcerto e portato alla esplicitazione della prima posizione etica circa la fecondazione assistita: quella del divieto netto, totale e assoluto".

A dirlo Maurizio Mori, componente del Comitato Nazionale per la Bioetica e presidente della Consulta di Bioetica Onlus che oggi a Roma ha organizzato un convegno con la Società italiana di Fertilità e Sterilità (Sifes) dal titolo “La fecondazione assistita dopo 20 anni di L. 40/04: a che punto siano, che problemi abbiamo e dove vogliamo andare”.

"Per capire questa prospettiva bisogna partire dalla considerazione che il matrimonio è uno degli istituti costitutivi alla base della civiltà umana. Lo rileva anche il Foscolo quando dice che “dal dì che nozze tribunali ed are/Dieder alle umane belve esser pietose” verso i vivi e verso i morti, quelle belve han costruito le città e i sepolcri. In questo contesto il matrimonio: il matris munus, dovere, ufficio, compito della madre, è l’istituto deputato a regolare la trasmissione della vita umana alla successiva generazione per garantire la sopravvivenza del gruppo. Data la centralità del compito alcuni credono che il matrimonio sia di origine divina e munito di regole assolute come il principio d’inscindibilità, che vieta di scindere il significato unitivo da quello procreativo dell’atto coniugale. Sulla scorta di questo principio la Chiesa cattolica romana ha condannato ogni forma di intervento tecnico nella riproduzione umana, inclusa la fecondazione assistita. L’inscindibilità porta a condannare sia la contraccezione, che separa i due significati consentendo di far sesso senza far figli, sia la fecondazione assistita che li separa nell’altro senso consentendo di far figli senza far sesso. Si veda l’Istruzione Donum Vitae del 1987.

In termini più diretti e vivaci, all’indomani della nascita di Louise Brown il gesuita Virginio Rotondi condannava senz’appello la tecnica riproduttiva perché «Non è lecito violare la natura […] la creazione di una nuova vita può essere frutto solo di un legittimo atto di amore nell’esercizio dei diritti coniugali. Questo adoperare siringhe e provette e le muffe e gli acidi di un laboratorio […] è cosa che fa ribrezzo prima di provocare la condanna dell’etica naturale e della morale cristiana. Con tali sistemi la medicina scende al livello della veterinaria». Questa posizione di divieto assoluto ha avuto un enorme peso nel dibattito pubblico (a Bob Edwards il premio Nobel è stato dato solo 32 anni dopo), ma da subito ha incontrato scarso favore tra la gente perché la nuova tecnica riproduttiva è stata vista come una terapia per l’infertilità e quindi buona come ogni altra terapia. Senza stare qui a vedere se la nuova tecnica sia davvero una terapia (un mero aiuto) oppure no, questa considerazione sta alla base della seconda posizione etica circa la fecondazione assistita: quella che ammette il ricorso alla tecnica solo come terapia per l’infertilità per ripristinare la parità di condizioni tra fertili e infertili. L’impianto della L. 40 fa proprio questa posizione etica tanto che l’art. 1 stabilisce appunto che “è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita […] al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana [… “documentate da atto medico” (art. 4)]”.

Su questa parte dell’articolo c’è stata un’ampia convergenza tra laici e cattolici. Sapendo di dover mediare tra posizioni diverse, i cattolici han rinunciato al divieto assoluto per mantenere l’idea che la tecnica dovesse continuare a mimare la natura e la sua normatività. Tutto doveva così rimanere all’interno della coppia con l’omologa, il trasferimento degli embrioni contestuale (no congelamento) etc. I laici, invece, han rinunciato a pratiche come la fecondazione post-mortem, la gravidanza per altri, e altre simili. Alla fine il contrasto vero era limitato a pochi punti come l’eterologa e il congelamento degli embrioni: pratiche inizialmente vietate dalla L. 40 e poi ammesse dalla Corte costituzionale, che però non ha cancellato l’impianto di fondo".

"Non si sa il perché di questo, ma è un fatto che quell’impianto è stato votato e condiviso anche da molti laici che ritenevano che la fecondazione assistita fosse una delle pratiche di quella che Giovanni Berlinguer chiamava la “bioetica di frontiera” (per pochi), opposta alla “bioetica quotidiana” (per tutti). Agli inizi, negli anni ’80 il futuro delle tecniche riproduttive era ancora incerto, mentre nei ’90 erano in molti (forse i più) a credere con Berlinguer che l’accesso alla tecnica sarebbe rimasto limitato a pochi casi: solo qualche decina o centinaio all’anno. Di qui la convergenza sull’impianto della 40 che limita l’accesso ai soli infertili. Oggi sappiamo che la fecondazione assistita è diventata una pratica della “bioetica quotidiana” e che limitarne l’accesso ai soli infertili è eticamente sbagliato. Se è lecito scindere sessualità e riproduzione per gli infertili, è perché si riconosce che è lecito e buono avere figli a prescindere dal principio d’inscindibilità e dalla normatività della natura. Pertanto, la scissione è buona ogniqualvolta arricchisca l’esperienza umana (come lo è, l’avere figli) e consenta di allargare le capacità naturali e di “far meglio” della natura stessa. È sbagliato limitare l’accesso alle tecniche ai soli infertili perché sarebbe come dire che l’uso delle lenti d’ingrandimento è solo per gli ipovedenti e va vietato il cannocchiale e il microscopio: assurdo. Oppure dire l’uso della ruota è solo per chi ha difficoltà di deambulazione, e che va vietata la bicicletta o l’automobile: altrettanto assurdo.

Non si è colto subito l’errore perché – come ricordava sempre Carlo Flamigni, che al riguardo citava un passo di Paolo Emilio Lamanna – le idee sono un po’ come il vetro delle ampolle di profumo, che continua a profumare anche dopo che l’ampolla si è rotta. Col tempo però la fragranza evapora e ci si accorge che il vetro è solo vetro. Fuor di metafora, il profumo indicato era quello della sacralità riproduttiva che ancora vent’anni fa si faceva sentire nella cultura italiana. Un passo del 1997 scritto dal cardinal Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e figura di spicco nel dibattito, è significativo: l’inizio e la fine della vita umana – scriveva Caffarra – sono due momenti «abitati da un mistero, luoghi sacri dentro questo mondo, nel quale è Dio stesso che si rende presente. L’inizio della persona umana, che coincide con il suo concepimento, è effetto di un atto creativo di Dio: l’uomo e la donna pongono le condizioni della venuta all’esistenza di una nuova persona umana. Essi aprono solo lo spazio in cui, Dio, se lo vuole, possa compiere il suo atto creativo». Questo passo ci consente di capire perché la 40 non usi il termine biologico di riproduzione ma quello teologico di procreazione. Questo perché il termine rimanda alla prospettiva metafisica in cui “l’uomo e la donna pongono [solo] le condizioni della venuta all’esistenza di una nuova persona umana”, che rimane opera di Dio.

Procreazione sta a indicare che al di là delle tecniche, la sessualità coniugale è solo ausiliaria all’opera di Dio e che i genitori biologici sono solo collaboratori all’opera e non gli autori. Il passo rivela anche quanto al tempo il vetro dell’ampolla ancora profumasse di sacralità riproduttiva. Vent’anni fa inizio e fine-vita erano proposti da Caffarra come momenti «abitati da un mistero, luoghi sacri dentro questo mondo, nel quale è Dio stesso che si rende presente». Non voglio urtare la sensibilità di nessuno, ma queste parole risultano oggi prive di senso. Non si capisce più che cosa significhino, e questo perché la recente “secolarizzazione della riproduzione” ha portato al disincanto di questa porzione di mondo. Dire “Dio stesso si rende presente nella provetta” è oggi diventato l’analogo del dire “Dio sta nei cieli”: espressione il cui significato letterale è ormai evaporato da tempo e va inteso in altro senso”.

”Come quattro secoli fa la Rivoluzione astronomica ha secolarizzato lo spazio fisico, così oggi la Rivoluzione biomedica ha secolarizzato lo spazio della riproduzione umana: ciò dissolve la normatività della natura e favorisce un maggiore controllo dell’intero processo, così che si profila il problema della responsabilità per la nuova nascita e per le condizioni di nascita. Questo è un problema nuovo che prima non c’era. In passato compito dei genitori era solo attivare il processo riproduttivo nel matrimonio e null’altro. Rilevava al riguardo il grande scrittore cattolico conservatore C.S. Lewis nel 1960, anni in cui il problema della “paternità responsabile” cominciava a affermarsi: “i più dei nostri avi si sposavano giovani con partner scelti dai loro genitori in base a criteri che non avevano niente a che fare con l’Eros [in senso spirituale]. Arrivavano a fare l’atto coniugale senz’altra “benzina” che il puro desiderio animale. E facevano il giusto (And they did right): erano onesti mariti cristiani e oneste mogli cristiane che obbedivano ai loro padri e alle loro madri, che assolvevano il reciproco “debito coniugale” e tiravano su i figli nel timore di Dio” (The Four Loves, 132). Non c’era bisogno di altro.

Oggi è cambiato tutto – fortunatamente aggiungo io. Conosciamo la biologia e quelle “siringhe, provette, muffe e acidi di laboratorio”, che tanto sconcertavano il gesuita Rotondi, consentono un maggiore controllo della riproduzione: grazie a contraccezione, aborto, diagnosi prenatale, etc. le nascite sono oggi frutto di scelta di cui si deve essere responsabili. Si diventa genitori non più per “puro desiderio animale” come scriveva Lewis, ma perché lo si è scelto e perché ci si assume la responsabilità genitoriale attenta al “best interest of the child”. È l’assunzione della responsabilità genitoriale ciò che sta alla base dell’essere genitori”.

“C’è quindi una terza posizione etica circa la fecondazione assistita: quella per la quale Bob Edwards ha apprestato sì la nuova tecnica per vincere l’infertilità, ma così facendo ha scoperto una nuova modalità di riproduzione umana diversa da quella naturale. La scissione di sessualità e riproduzione è una delle più grandi scoperte mai fatte, paragonabile alla ruota, alla scrittura o alla scissione dell’atomo. Prima la riproduzione umana procedeva secondo un proprio binario indipendente perché soggetto alla mera natura, ora, grazie alle nuove tecniche, siamo in grado di controllare il processo riproduttivo che diventa ambito soggetto a nuove responsabilità. È lecito e buono accedere alle nuove tecniche ogniqualvolta ciò favorisca la responsabilità genitoriale e l’aumento della beneficenza riproduttiva. Se, come ho detto, la scissione di sessualità e riproduzione è paragonabile alla scissione dell’atomo, allora sviluppando l’analogia osservo che, come sul piano fisico la scissione dell’atomo consente di liberare un’enorme quantità di energia fisica (la bomba atomica), così sul piano socio-antropologico l’altra scissione consente si liberare l’altrettanto enorme energia umana connessa alla sessualità. Quest’ultima energia prima era regolata dal matrimonio e dalle varie forme di famiglie: istituti che ora vanno ripensati. L’American Society for Reproductive Medicine nel 2021 ha già proposto di cambiare l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sulla famiglia, che recita: “Men and women of full age […] have the right to marry and to found a family”.

Lo stretto binarismo sessuale appare oggi improprio e obsoleto. Altri si chiedono invece se il diritto “to found a family”, cioè di avere figli, sia senza limiti o invece sia condizionato all’assunzione di responsabilità per il nato. Quello di ripensare la genitorialità e la famiglia è un compito grandioso, che va fatto al più presto. L’esigenza al riguardo sarà sollecitata da come e da quanto si diffonderà la fecondazione assistita. Da pratica “di frontiera” per pochissimi (qualche centinaio all’anno), in 20 anni è diventata pratica “di routine” che riguarda più del 5% di tutti i nati. Se è vero che le nuove tecniche sono l’analogo della ruota, si può rilevare che per millenni velocità di spostamento e modalità di trasporto sono rimaste immutate: l’esercito di Alessandro Magno in ritirata dall’India viaggiava alla stessa velocità di quello di Napoleone in ritirata dalla Russia (1814).

Però già due decenni dopo (1830 circa) l’avvento del treno raddoppiava la velocità di spostamento degli eserciti, e l’avvento del motore a scoppio ne ha cambiato le modalità. Quando nel 1907 Henry Ford lanciò il modello T (la prima auto in serie), la produzione è stata di 3.000 esemplari, raddoppiati a 6.000 nel 1908. Ma sempre nello stesso 1907 i calessi sono stati 15.000, diventati 45.000 (tre volte tanto) nel 1908. Chi in quegli anni avesse fatto previsioni circa il futuro del settore avrebbe detto che i calessi sarebbero rimasti sempre prevalenti e l’automobile residuale: mezzo sì comodo, ma che mai e poi mai avrebbe sostituito il cavallo! Le cose però sono andate diversamente e oggi vediamo che i calessi sono spariti. O meglio, abitando in Toscana non lontano da un tratto della via Franchigena vedo che ancora ci sono pellegrini che vanno Roma a piedi: l’auto ha stravinto, ma la modalità di trasporto naturale non è scomparsa. Sarà così anche per la riproduzione umana?

È difficile fare previsioni sul futuro della riproduzione umana, ma i seguenti punti paiono certi:

1. l’idea alla base dell’impianto della 40 non regge più;
2. bisogna riconoscere che la fecondazione assistita è un nuovo modo di riproduzione umana;
3. è urgente ripensare le norme che regolano la trasmissione della vita umana ora che ne abbiamo acquisito il controllo.

Sul piano più specifico ci sono alcuni aspetti da considerare subito: per tante e diverse ragioni (studio, lavoro, stili di vita, etc.) l’età per la gravidanza si è spostata in avanti e le esigenze riproduttive sono cambiate. Bisogna prendere atto della nuova situazione e prevedere di ammettere l’opportunità:

  1. della gravidanza post-menopausa;
  2. di fecondazione assistita alle single:
  3. della gravidanza per altri.

"Ove adeguatamente regolate, queste pratiche sono buone e favoriscono la nascita di bimbi felici di essere venuti al mondo da genitori responsabili e attenti al loro best interest, senza che sia violata la dignità di nessuno: un tempo i figli erano discriminati in base al fatto che fossero nati nel matrimonio o fuori o contro esso; oggi bisogna evitare che siano discriminati in base alle modalità di nascita. C’è poi da sfatare il mito dell’embrione “come uno di noi”, mito che non ha alcun fondamento razionale e che si pone come pietra d’inciampo allo sviluppo della riproduzione assistita. Non posso qui argomentare al riguardo e rimando il punto a una prossima occasione.

Chiudo ribadendo che la fecondazione assistita assieme alla più recente IA e ad altre tecnologie ha aperto un’epoca nuova, per cui stiamo entrando in un “mondo nuovo”. Per i passatisti come per i laudatores temporis acti, invece, quello che ci si apre non sarebbe altro che un “mondo al contrario” foriero solo di disastri e di rovine. Non posso qui replicare, ma mi limito a rilevare che è vano continuare a sognare un ritorno a un fantastico passato. Bisogna prendere atto che la fecondazione assistita ha definitivamente cambiato le modalità della riproduzione umana e che non possiamo più continuare a ragionare con gli antichi criteri: sarebbe come mettere vino nuovo in otri vecchi, o continuare a portare il cappotto anche d’estate solo perché l’abbiamo messo d’inverno. È urgente abolire l’impianto della L. 40 e riconoscere che la fecondazione assistita è una nuova forma di riproduzione umana che apre opportunità nuove, opportunità che fanno favorite e regolate da un’adeguata normativa", conclude Mori.

09 febbraio 2024
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