"Non ci sono parole per esprimere il dolore che nasce dal profondo dell’anima. Papa Francesco ce lo ha insegnato sino all’ultimo istante della sua missione terrena. Ma il suo insegnamento più grande ce lo ha dato sacrificando, per questa sua missione, forse qualche giorno in più che gli sarebbe stato dato di vivere se si fosse riguardato, se avesse rinunciato al suo desiderio di stare tra la sua gente nel momento del nuovo inizio pasquale, tra i diseredati, gli ultimi, i carcerati, l’urbi et orbi sull’orlo del baratro. Cristo sulla terra dunque sino all’ultimo respiro. Ci tornano alla mente le parole che affidò alla nostra Associazione durante l’udienza concessa nel giorno del nostro sessantesimo anniversario, il 13 aprile di due anni fa.
Per un attimo abbandonò la traccia del discorso preparato per trasmetterci tutta la sua preoccupazione per la sorte di quanti, sofferenti nella tenaglia della malattia, non hanno possibilità di accedere alle cure, alle medicine di cui hanno bisogno. Perché non hanno i mezzi economici per poterlo fare. Le vere vittime di quella che definì “povertà della salute”, di quella “cultura dello scarto” che ha evocato dall’inizio del suo Pontificato. E non esitò ad equiparare questa forzata privazione ad una “eutanasia nascosta e progressiva” cui sono praticamente condannati i più fragili, gli anziani indigenti. Per noi quel momento è stato come sentire l’eco della nostra voce espandersi oltre i confini di casa ed acquisire quella forza che solo Papa Francesco ci poteva dare. Ci chiese la responsabilità di una “nuova evangelizzazione”, non solo declamata, ma intessuta, giorno dopo giorno di gesti concreti, capaci di essere testimoni e protagonisti della nascita di un nuovo umanesimo. Lo ha testimoniato personalmente, fino alla fine. Ci guardò fissi negli occhi. Uno ad uno mentre pronunciava quelle parole.
Lo sguardo di Papa Francesco. Uno sguardo penetrante. Forse ancor più delle parole che stava pronunciando. Parole quasi sussurrate, a braccio, dunque spontanee. Profondamente sentite. E’ il ricordo più vivo rimasto nel cuore di quanti hanno partecipato al suo incontro. Segnò per noi la traccia da seguire; ci fece capire che la prima forma di civiltà è il rispetto per chi soffre. Ci chiese di “accompagnare” le persone che accogliamo nelle nostre strutture “con una cura integrale, che non trascuri l’assistenza spirituale e religiosa dei malati, delle loro famiglie e degli operatori sanitari”. In questo, disse accorato, le istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana dovrebbero essere esemplari. E ci pose una sfida che ancora oggi ci impegna, ci invitò a chiederci come si sarebbero comportati i nostri santi fondatori in una situazione come quella che stiamo vivendo. Ci chiese di farlo non tanto per imitare i loro gesti quanto piuttosto per accoglierne lo spirito; non tanto per difendere il passato, quanto piuttosto per costruire un presente e un futuro in cui testimoniare la presenza del Cristo tra i malati e ribadire il valore della persona, soprattutto in un contesto come quello attuale dove tutto sembra essere guidato da leggi di mercato. Lui lo ha fatto sino all’ultimo respiro che gli era rimasto nel corpo martoriato dalla malattia”.
L’Aris esprime così il suo cordoglio per la scomparsa di Papa Francesco
Il primato della persona come bene incondizionato, originario ed ontologicamente fondato, è oggi, anche più di ieri, l’unico riferimento sicuro su cui edificare una società aperta, una convivenza solidale, un mondo giusto. Questa è l’eredità tramandataci. L'etica evoca ed esige un fondamento ontologico e chi si ispira ad una concezione cristiana dell'uomo e della vita deve essere consapevole di una responsabilità particolare che gli compete. Alle nostre mani Papa Francesco ha affidato la spiritualità del Buon Samaritano. Noi ci siamo. E vogliamo esserci. Grazie Santità per il dono della sua testimonianza, sofferente tra i sofferenti”.