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Farmaci. Spettanza 0,65% a grossisti e datamatrix in attesa di pareri e provvedimenti del Ministero
Cresce il novero delle aziende di generici che comunicano ai distributori di non voler riconoscere a questi ultimi lo 0,65% sui farmaci generici che commercializzano. Altro nodo da sciogliere: è sempre più vicina la scadenza del 9 febbraio, ultimo giorno utile perché l’Italia ottemperi ai propri doveri di Stato membro dell’Ue e recepisca la direttiva sulla serializzazione che allarga al nostro Paese il sistema europeo di targatura dei farmaci
28 GEN -

Sulla spettanza dello 0,65% che la Legge di Bilancio riconosce ai distributori di farmaci togliendola all’industria si fa sempre più probabile un intervento del ministero della Salute, un’interpretazione che chiarisca la corretta lettura da dare ai due commi (324 e 325) in cui si articola il provvedimento. Parrebbe l’unica strada percorribile per uscire dal polverone di pareri legali e valutazioni che da un paio di settimane a questa parte si è sollevato attorno alla disposizione e ai suoi effetti su produttori, grossisti e farmacie. A riportarlo è Pharmacy Scanner, che dedica un'analisi al tema.

Cresce in particolare il novero delle aziende di generici che comunicano ai distributori di non voler riconoscere a questi ultimi lo 0,65% sui farmaci generici che commercializzano. A schierarsi su tale posizione erano stati per primi alcuni piccoli genericisti, ora però la linea ha cominciato a essere condivisa anche dalle grandi aziende. Non tutte però, perché altre avrebbero invece deciso di riconoscere ai distributori la maggiorazione disposta dalla Manovra. La differenza di vedute nasce dalla formulazione non proprio cristallina del comma 324, che nell’introdurre i nuovi margini esordisce confermando “quanto previsto dall’articolo 11, comma 6, del decreto-legge 78/2010”. Secondo i produttori che contestano lo 0,65%, questo testo può essere interpretato in due modi soltanto: o le nuove quote non si applicano ai farmaci equivalenti, sui quali rimangono in vigore i margini del decreto Abruzzo (58,6% all’industria e 3% alla distribuzione), oppure verrebbe a cadere la quota dell’8% che lo stesso Decreto Abruzzo riserva alla contrattazione tra grossisti e farmacie.

Considerata la predominanza di equivalenti che ormai si osserva tra i farmaci di fascia A (più del 90% delle confezioni consumate nel 2024 appartiene a questa categoria), è evidente che tale tesi trova contrari i distributori. Per tale motivo, le due associazioni che rappresentano le aziende del comparto, Adf e Federfarma Servizi, starebbero per inviare (o forse hanno già inviato) una richiesta al Ministero affinché intervenga con una circolare interpretativa che dissipi il polverone. Anche l’industria attende con favore un intervento del Ministero, considerato che sono parecchi i dubbi generati da una disposizione cui manca il dono della chiarezza. Tuttavia, anche un eventuale intervento della Salute potrebbe non essere risolutivo: nella gerarchia della dottrina, infatti, l’interpretazione che arriva da circolari ministeriali e atti amministrativi vari è subordinata l’interpretazione giudiziale (Tar) e all’interpretazione autentica (Parlamento). Quindi, chi dovesse vedersi scontentato dal Ministro, potrebbe appellarsi ai Tribunali amministrativi e trasformar e la querelle in un’odissea.

Un altro aspetto critico riguarda le vendite dirette, dall’industria alla farmacia. Secondo il comma 325, lo 0,65% aggiuntivo spetta esclusivamente ai distributori e non è trasferibile ad altri soggetti della filiera. Ma cosa accade quando le farmacie acquistano direttamente dall’industria? Alcuni sostengono che questa percentuale debba comunque essere riconosciuta ai farmacisti che acquistano, perché la Legge di Bilancio dice che l’industria non può prendere più del 66%. Altri, inclusi i distributori, ritengono invece che negli acquisti diretti lo 0,65% debba restare al produttore, perché è incedibile alle farmacie. Una terza interpretazione, avanzata da qualche esperto con l’intento di evidenziare le ambiguità della disposizione, non esclude che alla fine la quota possa essere rivendicata dal Servizio sanitario nazionale, con trattenute in sede di rimborso. Fantascienza? Forse qualche Regione potrebbe lasciarsi sedurre.

Altro nodo da sciogliere: è sempre più vicina la scadenza del 9 febbraio, ultimo giorno utile perché l’Italia ottemperi ai propri doveri di Stato membro dell’Ue e recepisca la direttiva sulla serializzazione che allarga al nostro Paese il sistema europeo di targatura dei farmaci (con codice univoco datamatrix). Il decreto legislativo che dovrebbe assolvere a tale funzione ha già raccolto da tempo i pareri di rito (commissioni parlamentari più Regioni) e attende soltanto il via libera finale del Governo. Che però continua a temporeggiare anche se ha ribadito più volte che l’intenzione è quella di rispettare la scadenza. Se in molti sono convinti che alla fine il decreto uscirà sul filo di lana ma uscirà, nessuno invece vuole sbilanciarsi a prevedere cosa accadrà dopo. Di sicuro, occorreranno diversi mesi per veder circolare i primi farmaci con il datamatrix stampato sulla confezione al posto dei bollini adesivi del Poligrafico: senza decreto, infatti, non possono essere emanate le disposizioni tecniche, e senza disposizioni tecniche non si possono rifare gli impianti dei nuovi packaging, che poi prima di essere stampati devono ricevere l’approvazione dell’Aifa.

Non è che tutto debba essere assolutamente pronto per il 9 febbraio: nella bozza finale circolata prima di Natale (l’ultima, a quanto è dato sapere al momento), il decreto stabilisce che i farmaci i cui lotti sono stati rilasciati prima di tale data (e quindi viaggiano nelle vecchie confezioni con bollino adesivo) possono continuare a circolare fino alla scadenza, senza la necessità di riconfezionamenti o rietichettature. Dunque, il 9 ci si potrà accontentare anche di un “via” solo formale. Non a caso, da tempo le aziende farmaceutiche hanno intensificato la loro produzione per costituire riserve adeguate con cui tirare avanti sino a quando saranno autorizzate e pronte le nuove confezioni con datamatrix. Ma resta pur sempre una corsa contro il tempo: secondo alcune stime ufficiose, ci sarebbero scorte sufficienti a coprire la domanda sino a settembre, dopo di che o arrivano i nuovi lotti oppure ci saranno crescenti carenze.

Anche distributori e farmacie stanno più o meno come l’industria, e cioè appesi a un filo. Senza le direttive tecniche, infatti, hardware e software (cioè lettori di codici e gestionali) non possono essere aggiornati, anche se è evidente che nulla cambia finché gireranno le confezioni con bollino. Più che altro, si fa strada la consapevolezza che, quando si partirà, andranno messi in conto un po’ di problemi di “taratura”. A dirlo è l’esperienza che arriva dai Paesi Ue dove il datamatrix è già stato adottato, come Germania e Francia. “I primi mesi di operatività sono stati difficili per le farmacie» ha confermato Benjamin Rohrer, responsabile comunicazione dell’Abda (l’associazione delle farmacie e dei farmacisti tedeschi) nel suo intervento a Scanner Orizzonti del 13 dicembre «si sono registrati problemi soprattutto nei collegamenti con il database dei codici univoci (detto anche Nmvs, ndr) e nella verifica degli stessi codici: nel primo mese di attività, il 5% delle confezioni scansionate dalle farmacie non venivano riconosciute dal sistema, come se si trattasse di scatole contraffatte. Gli allarmi però sono calati velocemente: già alla fine di quell’anno, il 2019, davano un falso positivo solo lo 0,42% delle confezioni. Quest’anno, l’incidenza è calata ulteriormente e non è andata oltre lo 0,07%”.

Diverse le cause di questi falsi allarmi: “Può capitare che, senza accorgersi, il farmacista scannerizzi due volte la confezione - ha spiegato Rohrer - quindi l’annulla (si chiama decommissioning, nel gergo della targatura europea, ndr) e quando la dispensa la scatola risulta già uscita. Altro inconveniente, gli scanner delle farmacie possono fare fatica a leggere i codici datamatrix, oppure hanno problemi di connessione con il gestionale o il gestionale con il database dei codici. Può anche succedere che l’azienda produttrice, cui spetta l’immissione delle targhe nel sistema (commissioning, ndr) faccia errori nella registrazione. Ma la maggio parte degli inconvenienti, abbiamo visto, sono responsabilità delle farmacie”.

Stesse evidenze dalla Francia: a novembre, scrive la rivista Le Moniteur des Pharmacies, il tasso degli alert nelle farmacie oscillava tra lo 0,2 e lo 0,3%, a fronte di un obiettivo dello 0,05%. Secondo France Mvo (l’ente nazionale che sovrintende alla banca dati dei codici, anche l’Italia ha il suo), la maggior parte di queste allerte è causata da problemi informatici. In particolare, si contano circa 400 farmacie che utilizzano ancora scanner incompatibili con il datamatrix o configurati in modo errato, da cui errori nella lettura dei numeri di lotto e di serie.

Ma la Francia rappresenta un caso da seguire anche per altre ragioni: per cominciare, il passaggio alla targatura europea è avvenuto con grande ritardo rispetto alle scadenze imposte dalla direttiva Ue (più di un anno dopo il febbraio 2019); in secondo luogo, la transizione è di fatto ancora in corso: secondo gli ultimi dati, solo il 75% delle confezioni dispensate viene verificato e “decommissionato”, perché ci sono ancora più di 900 farmacie (tra territoriali e ospedaliere) che ancora non risultano operative sulla piattaforma France Mvs, e quindi non annullano i codici delle confezioni che dispensano. Per ora l’Ue non ha inflitto sanzioni, ma per la stampa transalpina sarebbero nell’aria.

Per queste e altre ragioni, è una buona notizia che nel decreto legislativo in attesa di approvazione sia stata recepita la richiesta della filiera di concedere un avvio “soft” del nuovo sistema: «Dal 9 febbraio 2025 all’8 febbraio 2027» recita la bozza del d.lgs «è previsto un periodo di stabilizzazione per le operazioni di verifica, disattivazione e riattivazione dell’identificativo univoco, secondo le istruzioni operative definite dal Ministero della salute». Nessun rinvio sulle confezioni dunque, invece su commissioning, verifiche e decommissioning ci saranno 24 mesi di “indulgenza”. Accontentati anche i distributori, che chiedevano l’esclusione dagli obblighi della tracciatura di passaggi intrasocietari (cioè tra grossisti dello stesso gruppo o società consortili) e flussi della dpc. Nessuna concessione, invece, sulle sanzioni, che rimangono in sostanza le stesse (pesanti) della prima bozza di decreto.

Proprio per questo motivo, i prossimi mesi dovranno servire alle farmacie (ma anche ai distributori) per prendere confidenza con un sistema di cui conoscono solo il quadro teorico. In particolare, sarà fondamentale comprendere in dettaglio “chi fa che cosa” e soprattutto “quando”. Chiarimenti in tal senso li ha forniti un convegno organizzato a Milano prima di Natale dal Consorzio Dafne: le farmacie, per esempio, dovranno verificare la corrispondenza dei codici per le confezioni in arrivo dal distributore (ma non dall’azienda farmaceutica, in caso di acquisti diretti) e “decommissionare” quando dispensano. Ci vorrà tempo, considerato che il datamatrix è stato disegnato a Bruxelles ma la distribuzione farmaceutica italiana ha specificità tutte sue. La parte più complicata del percorso deve ancora cominciare.
28 gennaio 2025
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