È il 1978 quando nasce Louise Brown nell’ospedale di Oldham, in Inghilterra. Louise è la prima persona nata grazie alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita e grazie a Patrick Steptoe e Robert Edwards – Edwards vince il Premio Nobel per la medicina nel 2010. Le tecniche di fecondazione medicalmente assistita hanno determinato fin dall’inizio della loro applicazione un dibattito sull’opportunità di emanare una legge che le disciplinassero. Per molti anni i tentativi effettuati dal Parlamento sono stati senza risultati.
I giudici fino al 2004 sono intervenuti poche volte per dare una risposta in assenza di una norma in materia, con decisioni che hanno tenuto conto della normativa generale e della Costituzione che è fondata su principi di libertà. La Corte costituzionale è intervenuta una sola volta per sancire che non è esperibile l’azione di disconoscimento di paternità a seguito del ricorso alla fecondazione eterologa con un consenso informato sottoscritto dalla coppia.
Il tribunale di Palermo nel 1999 è intervenuto per confermare che anche dopo la morte del partner era possibile trasferire in utero l’embrione crioconservato, perché c’era un consenso informato sottoscritto prima della fecondazione e l’azione determinava un adempimento contrattuale tra i pazienti e il centro medico. Il caso viene riportato impropriamente come fecondazione post mortem, ma di fatto si tratta solo di trasferimento in utero dell’embrione frutto della precedente fecondazione dei gameti. In tema di gravidanza per altri nel 1989, esattamente il 27 ottobre, è stato annullato il contratto di maternità surrogata con un corrispettivo economico, perché affetto da nullità per mancanza, nell’oggetto, dei prescritti requisiti di possibilità e liceità trattandosi di beni che non sono tali dal punto di vista giuridico, ossia le parti del corpo umano, quali gameti e organi della riproduzione, in quanto il soggetto ha sugli stessi soltanto un diritto alla personalità e non un diritto patrimoniale. Le argomentazioni del tribunale di Monza portano alla invalidità del contratto di maternità surrogata a seguito di pagamento. Il punto forte della motivazione sembra incentrarsi proprio sulla inammissibilità, da un punto di vista morale e sociale, della commercializzazione della maternità. Mentre a seguito del divieto di gravidanza per altri introdotto dal codice deontologico del 1995, il tribunale di Roma il 17 febbraio 2000 ha emesso una ordinanza per un caso di utero surrogato solidale, dichiarandolo ammissibile.
In questo panorama di interventi su casi specifici, l’applicazione e l’erogazione di tecniche di fecondazione assistita avvenivano nel rispetto di decreti e delle ordinanze ministeriali che regolavano la materia: la circolare ministeriale del ministro Degan, del 1985, che vietava la cosiddetta fecondazione eterologa nei centri pubblici e la circolare Donat-Cattin, di pochi anni successiva, che regolamentava la raccolta e la conservazione dei gameti ai fini della fecondazione attuata con l’intervento di un donatore o una donatrice esterni alla coppia e anonimo.
La legge 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, che entra in vigore il 10 marzo dello stesso anno, effettua volutamente una confusione nella sfera dei soggetti di diritto: il concepito diviene un’entità autonomamente considerata che entra in contrasto con quella soggettività che solo alla nascita si acquisisce ai sensi dell’articolo 1 del codice civile.
La legge 40 prevede la possibilità di accedere alle tecniche di fecondazione assistita solo per le coppie sterili e non per quelle portatrici di potenziali malattie, la fecondazione eterologa è vietata, è vietata la commercializzazione di utero surrogato, è stato imposto un assoluto divieto di accesso alle tecniche per le coppie dello stesso sesso e a persone singole ed è vietata la sperimentazione sugli embrioni non idonei per una gravidanza.
All’indomani dell’entrata in vigore della legge 40, Luca Coscioni e i radicali iniziarono subito la raccolta firme per l’abrogazione di questa norma che limitava l’applicazione delle tecniche riproduttive e della ricerca senza un fondamento giuridico o scientifico alla base dei divieti. Alcuni partiti di sinistra aderirono alla raccolta firme aggiungendo quattro requisiti di abrogazione parziale della norma. Nel 2005 si è tenuta la consultazione referendaria che portò a 4 quesiti per l’abrogazione del numero di gameti da fecondare e del trasferimento in utero in una sola volta di tutti gli embrioni prodotti, del divieto di accesso per le persone fertili portatrici di patologie genetiche, della destinazione degli embrioni alla ricerca scientifica e del divieto di eterologa, ma non è stato raggiunto il quorum.
Dal 2005 ci sono stati numerosi interventi da parte dei tribunali che ne hanno posto in discussione alcuni divieti, determinando l’intervento della Corte costituzionale. È intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo.
La prima volta che la norma è arrivata all’esame di un giudice è nel 2004 a Catania con una richiesta di applicazione della diagnosi preimpianto. Il giudice Lima scrisse: “Sicché si dà l’impressione suggestiva di volere tutelare la salute del figlio, ma siccome il figlio tutelato non è quello reale ma quello virtuale, non si difende in realtà alcun figlio, ma la propria volontà di averne uno conforme ai propri desideri, sacrificando a questo obiettivo, per tentativi successivi, tutti i figli reali difformi che venissero nel frattempo”.
Questa decisione fa comprendere quale sia stato il dibattito nel periodo referendario, dove non si è discusso di tecniche mediche da erogare a chi ne aveva bisogno per poter avere un figlio, ma sembra un dibattito fuori dalla realtà della vita delle persone che non riescono ad avere una gravidanza per motivi di salute o condizione e che grazie all’avanzamento della ricerca come per altre situazioni di salute può scegliere di provare ad avere un figlio con l’aiuto della scienza e quindi della fecondazione medicalmente assistita.
Forse il legislatore nell’emanare la legge 40 non immaginava quante volte sarebbe finita sul banco degli imputati, e quante volte sarebbe stata condannata, interpretata, modificata e quanti danni avrebbe determinato alle persone che avevano e hanno bisogno di accedere a queste tecniche per poter provare ad avere un figlio.
Dopo una interpretazione personale non secondo legge del giudice di Catania è stato il tribunale di Cagliari a intervenire sul punto della “diagnosi preimpianto”, chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità delle disposizioni o della loro interpretazione secondo le linee guida ministeriali, sulla base delle quali i genitori dovevano accettare le pratiche di fecondazione senza poter accedere come previsto per legge alle indagini cliniche diagnostiche sull’embrione. La Corte, all’epoca, non si pronunciò per ragioni formali, senza entrare nel merito del quesito posto. Successivamente sempre il tribunale di Cagliari (24 settembre 2007 - Ammissibilità diagnosi preimpianto) disapplica le linee guida sulla legge 40 che prevedono come tecnica di diagnosi preimpianto solo l’indagine osservazionale dell’embrione. Le linee guida, atto di rango normativo inferiore alla legge, non possono contenere divieti non previsti nella norma. Il giudice ordinò l’esecuzione dell’indagine di preimpianto sull’embrione perché prevista dalla legge 40 che prevede che la coppia può chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione, e che possono essere effettuate indagine cliniche con finalità diagnostiche sull’embrione (Articoli 14 comma 5 e 13 comma 2). Tale applicazione della norma fu confermata dal tribunale di Firenze (17 dicembre 2007 - Ammissibilità indagine preimpianto).
Sarà il tribunale amministrativo regionale del Lazio che con la decisione del 21 gennaio 2008 n. 398 ad annullare per eccesso di potere le linee guida. Solleva inoltre, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 2 e 3, della legge 40 per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Le motivazioni della sentenza evidenziano che “in buona sostanza, fermo il generale divieto di sperimentazione su ciascun embrione umano, la legge n. 40 del 2004 consente la ricerca e gli interventi necessari per finalità terapeutiche e diagnostiche”. Nel 2008 vengono emanate le nuove linee guida che recepiscono la cancellazione dell’indagine osservazionale.
Finalmente, investita da diversi tribunali, intervenne la Corte costituzionale, con la decisione 151 del 2009, dichiarando l’illegittimità di una parte importante della legge 40.
La Consulta affermò che è costituzionalmente illegittimo e deve quindi essere cancellato dal nostro ordinamento, l’articolo 14 della legge citata, nella parte in cui imponeva la fecondazione di non più di tre gameti per un massimo di tre embrioni e un unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti.
La Corte rileva che “la previsione adoperata dal legislatore nella legge 40 che prevede la creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone, in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente, come si è visto, del feto – ad esso connesso”. La Corte costituzionale ha affermato che queste scelte competono al medico e devono essere compiute secondo i principi della medicina e non possono essere compiute a priori e in astratto, dal legislatore, con un protocollo universalmente valido. La Corte costituzionale pone l’accento nelle motivazioni della sentenza sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica, sicché “in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.
La legge, pertanto, dopo la correzione della Consulta, deve essere letta nel senso che le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario e che spetta al medico, nell’ambito della sua competenza, professionalità e responsabilità, stabilire qual è questo numero. Ma la Corte è intervenuta anche sul divieto di crioconservazione poiché con una sentenza di incostituzionalità, additiva e interpretativa, ha aperto una deroga al divieto di crioconservazione degli embrioni poiché nessun nocumento deve essere creato alla salute della donna. Se ne desume che attualmente non è punibile il medico che crioconservi perché ha applicato la norma così come essa ora risulta dopo l’intervento costituzionale.
La Corte costituzionale con la sentenza 151/09 ha ridimensionato le previsioni della legge 40, affermando che la tutela dell’embrione non è assoluta e può considerarsi affievolita in particolari circostanze, in base ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, nonché ha stabilito che essa violava il principio dell’autonomia e della responsabilità del medico e il diritto alla salute della donna.
Seguono poi dal 2010 diverse decisioni dei tribunali che consentono l’accesso anche della coppia fertile portatrice di patologie genetiche alla fecondazione assistita per poter accedere alle indagini cliniche diagnostiche sull’embrione prima del trasferimento in utero.
I successivi interventi sulla legge 40 della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo sono avvenuti puntuali nel tempo e hanno cambiato la portata della legge intervenendo sui divieti che erano stati anche oggetto di referendum nel 2005. Nello specifico:
Anche il Comitato ONU che monitora il rispetto del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali ha accertato nel 2019 la violazione da parte dell’Italia con la legge 40 del diritto alla salute sessuale e riproduttiva di una coppia che aveva fatto ricorso alla procreazione assistita (Assisted Reproductive Technologies) e che voleva donare alcuni degli embrioni generati, affetti da un grave difetto genetico, alla ricerca scientifica.
Oggi la fecondazione assistita “consente” - questo è il termine utilizzato nel testo di legge - tutte le tecniche che erano applicabili prima della entrata in vigore della legge numero 40 del 2004, tranne l’accesso alle coppie dello stesso sesso e alle persone singole e la donazione alla ricerca di embrioni non idonei per una gravidanza e non è prevista una normativa per la gravidanza per altri solidale.
Dal 2017 è stata inserita per la prima volta in Italia nei Livelli essenziali di assistenza, dal giugno 2023 è stato approvato un Nomenclatore tariffario per le tecniche di PMA. Ancora nei LEA non è stata inserita la diagnostica clinica sull’embrione e sono poche le regioni a farsene carico e le donatrici di gameti non ricevono un rimborso al pari di quanto avviene nei paesi da cui si importano i gameti nel rispetto del divieto di commercializzazione.
Da quando la legge 40 è stata modificata dalle sentenze e dalla Corte, nascono circa 14 mila bambini ogni anno e non troviamo più il dato del 3% di gravidanze a rischio che era presente nelle prime Relazioni al Parlamento.
Non sarebbero nati senza le tante coppie che ho seguito, e che anche altri collegi legali hanno assistito, e senza il lavoro dell’Associazione Luca Coscioni. Molti di questi nati non erediteranno le malattie genetiche di cui i genitori sono portatori grazie alla possibilità di ricorrere alla diagnosi di preimpianto. Ci sono ancora dei divieti da eliminare per rendere la legge 40 una legge finalmente giusta, ma rispetto alla versione originaria molte ingiustizie sono state eliminate. L’erogazione delle tecniche, poi, dovrebbe essere garantita in maniera uniforme e dal Servizio sanitario nazionale e attualmente ancora non è così, pertanto si continua nella difesa dei diritti nei tribunali dinanzi a un Parlamento che dopo 20 anni ancora ritiene che la legge 40 non si debba toccare ma nel contempo cerca di introdurre altri divieti, ancora una volta insensati come il divieto di accesso alla gravidanza per altri in Paesi dove è legale, prevedendo lo stesso reato come se la tecnica fosse realizzata nel nostro paese.
In questo momento il diritto diventa particolarmente giurisdizionale, perché grazie all’intervento della giurisdizione con funzione pluralista e aperta alla argomentazione, diventa un potere destinato a bilanciare il legislatore che si muove in questo caso in una logica maggioritaria.
Il ruolo dell’avvocatura cambia, poiché destinato a valorizzare la giurisdizione e questa apertura. In questo caso il giudice è bocca della costituzione, che si svincola dalla legge considerata in sé per porsi sotto la legge costituzionalmente legittima.
L’avvocato in questo caso alimenta la dialettica tra legge, Costituzione e realtà sociale: il giudice media, ascolta e parla la lingua della società che chiede tutele in affermazione di quella democrazia che ha generato la Costituzione che rende possibile la difesa della democrazia.
In questo panorama la strada per la modifica della legge sulla procreazione medicalmente assistita non è conclusa, ma le buone leggi dovrebbero essere emanate dal parlamento senza l’intervento dei tribunali, oggi emerge dalla situazione attuale che è in pericolo la democrazia e il ruolo della società civile è quanto mai necessario per evitare sottrazione di diritti.
Grazie alle conquiste raggiunte con l’intervento della Corte costituzionale dal 2010 ogni anno nascono circa 14.000 bambini che altrimenti non sarebbero mai nati. Continueremo a ricorrere ai tribunali per eliminare gli ultimi divieti.