“L’emergenza ha reso evidente l’importanza che il farmacista svolga un ruolo strutturato nei percorsi di cura sul territorio”. Intervista a Maurizio Pace
"Il futuro del farmacista è già oggi". Già ora è indispensabile implementare non solo il loro lavoro sul territorio, ma anche quello del farmacista ospedaliero "sempre più coinvolto nello sforzo di rendere sempre più efficaci, sicure e appropriate le terapie". C’è poi l’aspetto dei nuovi sbocchi professionali. "Tutto l’assetto che regge la nostra professione dovrà accompagnare questi cambiamenti che avevamo previsto fin dal 2006", ha spiegato il segretario della Fofi.
16 GIU - La pandemia ha dimostrato l'importanza della valorizzazione dei professionisti e quanto i farmacisti possano contribuire ad implementare la sanità del territorio. Dai tamponi alle vaccinazioni contro il Covid, fino agli screening già avviati in Sicilia contro l'Epatite C. Ma non solo, c'è poi il tema della sanità digitale, della piena implementazione del fascicolo sanitario elettronico e del Dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista.
Di tutto questo ha parlato in questa intervista il segretario Fofi,
Maurizio Pace.
Segretario Pace, è d’obbligo cominciare con il tema centrale di questo sfortunato periodo. Che cosa ritiene che si debba trarre come insegnamento dalla pandemia?
Innanzitutto la centralità di funzioni dello Stato come la tutela della salute, la protezione della collettività di fronte alle emergenze e la solidarietà, il che significa anche non considerare un fatto scontato il Servizio sanitario nazionale, o la scuola o la protezione civile. Sono istituti preziosi, che vanno tutelati e sui quali occorre investire, non mortificati come “centri di costo”. Quanto alla solidarietà, credo che i farmacisti e tutti i camici bianchi italiani abbiano dato prova di quanto siano forti i valori professionali e la dedizione alle persone, in particolare a chi più ha bisogno. Ma non c’è soltanto questo, naturalmente…
Ci dica…
Credo che la valorizzazione dei professionisti, delle persone che si prendono cura degli altri, debba andare di pari passo con una forte spinta all’adeguamento tecnologico del nostro Servizio sanitario: creare la sanità digitale, da una parte, ma anche essere in grado di far esprimere completamente le potenzialità delle innovazioni in ambito biomedico. Faccio un esempio concreto: sotto la spinta della pandemia è stata introdotta la possibilità di eseguire i tamponi antigenici nelle farmacie e in questi mesi ne sono stati eseguiti decine di migliaia. Il segno che il farmacista di comunità può eseguire in modo efficace, sicuro ed efficiente un test complesso che non molti anni fa avrebbe richiesto necessariamente l’accesso a una struttura.
Si potrebbe dire che è stata la risposta a un’emergenza, no?
Certamente, ma si è aperta la strada a una nuova modalità di esecuzione delle campagne di screening e a un loro ampliamento sia in termini di popolazione intercettata sia per le patologie indagate. Prima dello scoppio della pandemia in Sicilia, la mia terra, avevamo avviato un percorso per condurre nelle farmacie lo screening dell’Epatite C cronica: oggi che disponiamo di cure risolutive è fondamentale raggiungere il maggior numero possibile di persone, per curarle e per ridurre al minimo la circolazione del virus. Non è un caso che questa sia stata la scelta del servizio sanitario inglese, che ha affidato alle farmacie lo screening di alcune popolazioni a rischio. Questo intendo quando dico che le potenzialità dell’innovazione vanno sfruttate fino in fondo. E lo stesso ragionamento si applica anche all’esecuzione delle vaccinazioni: dovrà essere parte strutturale delle campagne.
Ma siete pronti per questo passaggio?
Se parliamo di voglia di impegnarsi, senz’altro sì. Se parliamo di formazione, di conoscenza, è chiaro che abbiamo di fronte un percorso, noi come gli altri professionisti sul territorio. Per questo aspetto noi farmacisti abbiamo un vantaggio non da poco: la nostra professione è giovane: se guardiamo l’età media dei colleghi che esercitano nelle farmacie, ma anche degli iscritti agli Ordini, possiamo dire di poter contare su una vasta platea di “nativi digitali”. Peraltro anche i “diversamente giovani” hanno affrontato situazioni di rottura con la consuetudine senza troppe difficoltà. Mi riferisco alla completa dematerializzazione della ricetta che sostanzialmente ha funzionato grazie a noi nella fase più dura della pandemia.
A questo punto torniamo alla sanità digitale…
Senz’altro. E dico che il primo punto all’ordine del giorno è la piena implementazione del fascicolo sanitario elettronico e del Dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista, introdotto grazie a un emendamento di
Andrea Mandelli al “Decreto del fare”. Anche in questo caso occorre essere molto chiari. Fatta salva la scelta del cittadino di condividere o meno con il sistema le informazioni che lo riguardano, bisogna superare gli steccati che separano i professionisti che prendono in carico il paziente. Il medico di famiglia non può ignorare che cosa assume il paziente in automedicazione, e il farmacista non può ignorare che la terapia prescritta alla persona che ha di fronte pone una controindicazione alla dispensazione anche di un FANS. In seno alla Cabina di regia per l’implementazione dell’FSE questa condivisione dei dati, questo flusso di informazioni, è stato il nostro obiettivo principale e abbiamo dovuto superare una certa resistenza.
Non a caso, anche la FIP in un suo documento ha ricordato l’importanza di prevedere nel corso di studi anche insegnamenti dedicati alle tecnologie informatiche…
E’ così e credo che sia un passo fondamentale. E’ evidente che ormai il farmacista deve essere preparato a esercitare la pharmaceutical care in tutti i suoi aspetti, il che significa essere sempre più orientati a fornire una prestazione al paziente oltre che a dispensare un farmaco, ma richiede anche la capacità di gestire i processi informatici che accompagneranno qualsiasi attività all’interno del Servizio sanitario, dall’assistenza ospedaliera a quella territoriale, ma saranno sempre più centrali anche nella ricerca farmacologica e nella produzione.
Senza però dimenticare un altro aspetto: l’esercizio della professione nella farmacia di comunità, vive di moltissime procedure e pratiche quotidiane che sono centrali per la corretta esecuzione del servizio. C’è insomma una “cassetta degli attrezzi” che chi si affaccia al mondo del lavoro dopo l’abilitazione deve possedere. E’ su questo aspetto che si concentra, con buoni risultati, l’attività di Farma Academy, la Scuola di formazione per le nuove leve di cui sono presidente, creata da Fenagifar su impulso della FOFI.
Un’altra domanda inevitabile: quale futuro per il farmacista?
Il futuro è oggi, perché già oggi è indispensabile che il farmacista svolga un ruolo strutturato nei percorsi di cura sul territorio, che il farmacista ospedaliero sia sempre più coinvolto nello sforzo di rendere sempre più efficaci, sicure e appropriate le terapie. C’è poi l’aspetto dei nuovi sbocchi professionali, penso alle tematiche nutrizionali, per esempio, che potrebbero comportare anche nuovi inquadramenti lavorativi. Tutto l’assetto che regge la nostra professione dovrà accompagnare questi cambiamenti che avevamo previsto fin dal 2006. Oggi i fatti, purtroppo anche dolorosamente, hanno confermato la correttezza della nostra visione e dobbiamo completare questa evoluzione. Come sempre, il Presidente Mandelli, il Comitato Centrale, tutta la Federazione continueranno la loro azione su tutti i fronti con il massimo impegno. Anche per onorare la memoria dei nostri colleghi colpiti dalla COVID mentre svolgevano il loro lavoro al servizio della collettività.
A cura di M.I.