Le due associazioni (una di titolari di farmacia e l'altra di farmacisti collaboratori) lamentano scarsa chiarezza sulle modalità di esecuzione dei test Covid nelle farmacie annunciata dal ministro Speranza nei giorni scorsi.
27 OTT - “Le recenti dichiarazioni del Ministro
Speranza e le iniziative di alcune Regioni hanno sollecitato molti utenti a chiedere informazioni in farmacia sulla realizzazione dei test Covid ma, come noto, a parte poche Regioni, non ci risultano accordi in tal senso”, a sottolineare la situazione di incertezza in cui versa il comparto risetto alla prospettiva di effettuare i test Covid in farmacia è il Presidente di Farmacieunite
Franco Gariboldi Muschietti.
“L’apertura e l’attenzione rivolta verso le farmacie e la loro professionalità – ha aggiunto - hanno suscitato nella Categoria, da una parte entusiasmo, dall’altra scetticismo: le intenzioni potrebbero esser buone ma ci sono molti temi da approfondire per passare dal dire al fare. Occorre avviare un confronto tra le parti e individuare protocolli univoci che non lascino spazio all’improvvisazione, vista la pericolosità del virus”.
“La posizione di Farmacieunite tende sempre a essere proattiva e orientata al confronto – prosegue Muschetti - è però prioritario tutelare le Farmacie che vorranno erogare il servizio, attraverso procedure e protocolli sicuri, condizione indispensabile anche solo per ipotizzare un servizio di test Covid. La sicurezza al primo posto!”
“Le farmacie sono sempre in prima linea, soprattutto in questa fase delicata di emergenza – sottolinea ancora - chiedono però di essere trattate con la stessa dignità riservata agli altri operatori sanitari, con tutele assicurative e legali specifiche, dispositivi di protezione mirati ed efficaci, oltre ad un giusto compenso commisurato al rischio”.
“Tutt’altro ragionamento si può fare, qualora si parlasse della vendita in farmacia dei test rapidi autorizzati”, aggiunge, sottolineando che “le cautele non sono mai troppe per proteggere gli operatori e, conseguentemente, gli utenti che devono potersi recare nella propria farmacia senza alcun timore, consapevoli di essere garantiti e preservati da qualsivoglia pericolo di contagio”.
“Non possiamo non osservare un evidente paradosso - conclude il Presidente di Farmacieunite - si pensa ad utilizzare le farmacie per i test diagnostici e altri servizi che si dovrebbero fare negli ospedali/strutture pubbliche, mentre gli ospedali/strutture pubbliche distribuiscono i farmaci che dovrebbero essere prerogativa della farmacia. Forse occorrerebbe mettere un po’ di ordine e rispettare le professionalità di ciascuno”.
Perplessità anche dall'associazione dei farmacisti collaboratori Conasfa che in proposito sottolineano diverse preoccupazioni, “anche in virtù del fatto che al TG si sono viste immagini di test effettuati pungendo il dito del paziente al banco, attraverso il plexiglass, o su un tavolino da picnic all'esterno della farmacia, alla vista di tutti”.
“I farmacisti collaboratori – si legge ancora in una nota - hanno dimostrato negli anni, e nella prima ondata della pandemia, il senso del dovere e la disponibilità ad adattarsi alle esigenze del momento per assicurare il servizio alla popolazione. Tutto ciò nonostante il contratto non sia rinnovato da quasi un decennio”.
“Nel frattempo – continua - il lavoro del farmacista è cambiato, sempre più spesso gli è richiesto di eseguire autoanalisi e servizi di telemedicina senza nessuna previsione di tutela per il rischio biologico. Ora questa improvvisa, imprevista e possibile nuova incombenza”.
“Siamo convinti che l’eventuale introduzione di nuovi compiti debba passare innanzitutto attraverso un confronto all’interno della categoria. Poi è fondamentale che si elabori un protocollo che preveda la sicurezza dell'operatore e del paziente, la privacy del paziente, la sicurezza degli altri lavoratori della farmacia e dei clienti della stessa”, si legge ancora nella nota di Conasfa che ritiene “necessaria la formazione specifica, da eseguire naturalmente durante l’orario di lavoro, non certo sottraendo le ore di riposo, in un periodo che professionalmente si preannuncia estenuante”.
“L’operatore che andrà ad eseguire i test dovrà essere adeguatamente retribuito” e per Conasfa “vanno naturalmente previste precise tutele verso i rischi connessi al contatto ravvicinato con persone potenzialmente infette”.
“Cosa succede se un farmacista deve stare in quarantena?”, chiede ancora il sindacato che parla di “voci di colleghi che, in primavera, in questa situazione, si sono visti calcolare il periodo come ferie… E se un operatore contrae il Covid e resta inabile al lavoro? Magari con un contratto a termine? No al farmacista usa e getta!”.
Per questo, conclude Conasfa, “è importante, se si vuole introdurre nuovi servizi, che si possano assicurare procedure uniformi in tutte le farmacie, evitando iniziative improvvisate come quelle mostrate in TV che rischiano oltretutto di deteriorare l’immagine del Farmacista come professionista della salute e della Farmacia come sede della “Farmacia dei Servizi”.