Il TAR Lazio, III Sezione Stralcio, il 9 marzo 2023, ha depositato la sentenza n. 3980, (clicca qui), con la quale ha respinto il ricorso proposto da alcune associazioni per l’annullamento del D.M. 22.09.2017 del Ministero della salute, pubblicato sulla G.U. n. 250, Serie generale del 25.10.2017, concernente “Aggiornamento della tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali”.
Si illustrano, in sintesi, le motivazioni a fondamento della decisione. La sentenza, dapprima, ricorda che “il decreto prevede, per i farmaci preparati in farmacia in modo estemporaneo e integrale, sia per uso umano che veterinari, un nuovo metodo di determinazione del prezzo che tiene conto, come riportato dall’articolo 3, del costo delle sostanze, dei costi di preparazione, del costo dei recipienti e di eventuali supplementi relativi all’impiego di sostanze particolari, nonché della professionalità dei farmacisti”.
Più precisamente, per determinare il prezzo di vendita il farmacista dovrà considerare “il prezzo di acquisto delle sostanze, i costi della preparazione incrementati del 40%, l’eventuale supplemento di 2,50 euro per preparazioni pericolose, stupefacenti o doping e, infine, il costo del recipiente”.
Il decreto stabilisce che “non è consentito quotare una sostanza a un prezzo diverso da quello indicato nella “Tabella dei prezzi delle sostanze”, anche quando sia stata impiegata una sostanza contraddistinta da marchio registrato. Se la sostanza non è in elenco, il prezzo (al netto dell’iva) è quello al quale ha acquistato il farmacista, che dovrà conservarne prova documentale. I costi di preparazione, invece, sono stati definiti “sulla base dell’effettivo costo del lavoro del farmacista preparatore, del tempo necessario all’allestimento della preparazione, degli oneri connessi alla tutela della sicurezza e alla sanificazione degli ambienti”.
Inoltre, il decreto contiene un aggiornamento dei diritti addizionali di chiamata notturna, i quali sono dovuti soltanto quando la farmacia effettua servizio a “battenti chiusi” o “a chiamata” e consequenzialmente non sono dovuti quando la farmacia effettua servizio “a battenti aperti”. Il TAR Lazio ha dichiarato infondato il ricorso dell’Associazione, sulla base delle seguenti motivazioni.
Innanzitutto, il Giudice di prime cure ha rilevato che l’aggiornamento della tariffa in questione “è intervenuto a distanza di quasi venticinque anni dall’adozione delle stesse” e “costituisce, dunque, un incentivo senza il quale le farmacie potrebbero scegliere di non svolgere il servizio notturno perché poco redditizio: i prezzi al pubblico dei medicinali praticati dagli esercizi che, su disposizione dell’autorità territoriale, garantiscono i turni del servizio notturno, non possono non tener conto del maggiore sacrificio economico sopportato e segnatamente della maggiorazione prevista per il servizio notturno dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti da farmacia privata, dell’intero importo della retribuzione dovuta al farmacista turnista e delle spese accessorie necessarie per il mantenimento dell’ apertura della farmacia nelle ore notturne”.
Con specifico riferimento all’aumento praticato in favore delle farmacie rurali, poi, ha chiarito che l’aggiornamento tiene conto “della loro collocazione in zone svantaggiate..”. Inoltre, ha osservato che “l’aumento de quo, oltre a trovare fondamento nel citato art. 41 del R.D. 1706/1938 e nel TULLSS, risulta essere congruo atteso che: investe un lasso di tempo di circa 25 anni nei quali, nonostante la normativa prevedesse un aggiornamento con cadenza biennale, non è stata introdotta alcuna modifica, sebbene periodo 1994 – 2016 l’inflazione sia stata pari complessivamente al 49,014%…”.
Per il Tar la maggiorazione introdotta, inoltre, non viola il principio di razionalità per la dedotta “pretesa difficoltà di conciliarla con le disposizioni che prevedono in capo alle farmacie il potere di praticare sconti sui prezzi di tutti i tipi di farmaci e prodotti venduti pagati direttamente dai clienti” poiché, di fatto, resta inalterata la possibilità di concedere riduzioni sui prezzi dei farmaci purché a carico del cittadino.
Inoltre, “il Ministero ha tenuto presente la variabile del costo del lavoro del farmacista, dandone esplicitamente atto nelle premesse al decreto, oltre che della rivalutazione monetaria” ed ha osservato che “non rileva l’andamento della spesa farmaceutica ma il servizio offerto e i costi sostenuti dalla farmacia. Peraltro il turno notturno costituisce un’attività certamente antieconomica a fronte della generale liberalizzazione degli orari di apertura per le farmacie e parafarmacie, con il rischio concreto che esso non venga più offerto”.
Il Giudice amministrativo ha anche chiarito che non vi è alcuna lesione del principio di libera concorrenza e tantomeno del principio di uguaglianza tra i cittadini “atteso che i meccanismi di maggiorazione del prezzo connessi ai parametri dell’orario e della correlata oscillazione dei costi del lavoro come pure della dislocazione territoriale sono funzionali alla capillare diffusione del servizio. Senza di essi, non sarebbe possibile garantire il diritto alla salute e si verificherebbe la concentrazione nelle zone più affollate e negli orari più redditizi. Pertanto, non è seriamente sostenibile che le fasce sociali più deboli possano subire alcuna penalizzazione da questa variazione dei costi. Tantomeno che essa possa determinare il superamento dei limiti di spesa programmata.”
Il decreto impugnato, inoltre, non comporta alcuna restrizione alla libera prestazione dei servizi in quanto “introduce esclusivamente un aggiornamento dei costi, limitandosi ad applicare norme già vigore da molti anni”. Infine, “la tariffa non può essere considerata alla stregua di un trattamento differenziato ed ingiustificato in favore di alcuni operatori e a detrimento di altri, laddove, invece, rappresenta la remunerazione per il servizio notturno imposto dall’Autorità territoriale al fine di garantire il presidio farmaceutico durante la notte in tutte le zone. Peraltro, la Corte di Giustizia Europea ha affermato in più arresti che l’obiettivo di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità ben può giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento”.